La nostra faccia è uno degli “attori” più importanti nel processo di comunicazione. Gli antichi oratori latini lo sapevano così bene, che Quintiliano dedicò un intero capitolo alla gestione del corpo e affrontò, durante l’actio, la fase di declamazione di un discorso.
Si ritiene comunemente che la faccia, in particolare gli occhi dato che ne sono la parte più espressiva, non possa nascondere i nostri pensieri, emozioni e reazioni.
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Al contrario, la faccia è la nostra parte più “pubblica”, e anche la più esposta, e questo è probabilmente il motivo per cui assume un valore simbolico e rituale attraverso diverse culture, che usano maschere stereotipe per rappresentare personaggi con caratteri specifici. Inoltre, è quasi universalmente considerata rappresentare l’onore, la rispettabilità, la coerenza, l’onestà, Goffman (1967 ss.) e Brown & Levinson (1987). La cortesia richiede di non pronunciare parole che possano essere interpretate come minacciose dall’interlocutore, mentre molte delle risposte sono volte a “salvare la faccia” del locutore.
Questo punto di vista non rappresenta solo un’ipotesi teorica, ma è una “metafora” comunemente accettata.
La faccia, nell’accezione introdotta da Goffman, è stata stimolo di molte ricerche sulla “politeness/cortesia” nell’espressione linguistica, diventando cruciale anche sul piano pratico, con l’evoluzione costante della società verso la piena globalizzazione.
Sebbene alcune di queste difficoltà siano state risolte, i crescenti contatti tra persone e aziende richiamano ancora l’attenzione sulle opinioni interculturali sulla cortesia e sulle metafore basate sulla faccia in diverse culture.
Vi invitiamo a registrare la vostra partecipazione qui.
Modera l’incontro Mihaela Barbieru